Iniziare a meditare non è quello che pensi
Non è raro avvicinarsi alla meditazione con l’aspettativa che questa pratica ci fornirà finalmente la soluzione a tutto ciò che nella nostra vita consideriamo un problema. Meditando troveremo finalmente la pace o, quantomeno, un po’ di meritato sollievo dallo stress della vita quotidiana. Smettermo di pensare ai capi difficili e alle bollette da pagare, a chi ci a deluso e ai parenti serpenti, e a tutto ciò che non va con noi e che vorremmo correggere ma non sappiamo proprio da che parte cominciare. Ci immaginiamo che, come per magia, tutti i pensieri disturbanti e le emozioni difficili che vengono a farci visita nel resto della giornata spariranno, per lasciar spazio a una splendida calma perenne intercalata da momenti di estasi. Sarà questo il Nirvana, no?
Poi, iniziamo a praticare. E, se tutto va bene, se la nostra pratica è sincera e siamo minimamente disposti a vedere le cose così come sono, succede che ci accorgiamo che sono un po’ diverse da come ce le eravamo dipinte. Non solo le imperfezioni e le asprezze da cui pensavamo di fuggire continuano a far parte del panorama ma, come se da solo questo fatto non bastasse a rovinarci l’umore, non riusciamo a fare quello che pensiamo sia la pratica: la mente è dispettosa e vaga molto più quanto dovrebbe, e tutto ci sentiamo tranne che calmi e gioiosi. Anzi, se proprio dobbiamo essere sinceri, siamo piuttosto disturbati e infastiditi da questo stato di cose così lontano, se non talora addirittura opposto, a ciò che avevamo immaginato.
Troppe distrazioni? Quando la mente vaga, fai amicizia con te stesso
È a questo punto che, presi dall’esasperazione, potremmo iniziare a chiederci cosa c’è che non va e se per caso non eravamo impazziti il giorno in cui ci è venuto in mente di iniziare a meditare. Forse questa pratica non fa per noi, o non è il momento giusto, oppure l’insegnante, poverino, s’impegna ma proprio non ci sa fare.
In verità, se ci troviamo alle prese con ogni sorta di emozione e di fastidio, non c’è nulla che non va. È solo che la nostra mente è ancora attaccata a un’idea di cos’è la meditazione che non è reale. Non abbiamo ancora capito che la meditazione non è una tecnica, ma un modo per fare amicizia con noi stessi. La tecnica – per esempio l’invito a sederci in una posizione comoda e osservare le sensazioni del respiro- è solo il mezzo, non il fine. Il fine è, come dice la meravigliosa Pema Chodron, fare amicizia con noi stessi. Coltivare un atteggiamento di rilassatezza e di apertura verso la nostra esperienza interna, anche quando non ci piace o ci fa paura, accogliendo queste reazioni come umane. Essere pienamente umani è il fine della pratica. Non essere perfetti, qualsiasi cosa questo voglia dire per noi.
Due domande fondamentali della pratica
Voglio essere ancora più chiara. Se pensi di valutare la tua pratica in base a quanto tempo stai sulle sensazioni del respiro, giudicherai te stesso e la tua pratica in base a questo. E se ti dovessi trovare completamente perso nei tuoi pensieri, o alle prese con un’emozione difficile, allora dirai che la tua pratica è andata male e ti convincerai che c’è qualcosa che non va.
Prenditi un momento per te, e leggi le due domande che sto per farti, lasciando che risuonino nel tuo cuore un po’ come un sasso lanciato in uno stagno. Non forzare le risposte, ma osserva ciò che emerge. Dovesse anche apparirti sorprendente, confuso o senza senso, è comunque interessante. Fidati.
Prima domanda. Vuoi davvero continuare a coltivare l’abitudine di giudicare te stesso e questo momento in base a ciò che pensi che dovrebbe accadere?
Seconda domanda. Quanto hai sofferto sinora tutte le volte in cui hai valutato te stesso, gli altri e questo momento in base alle tue aspettative di come devono andare, o essere, le cose? Riesci a trovare degli esempi? Vedi, ora, la bellezza che ti sei perso?
Imparare a dire “Sì!”
La mindfulness non è un invito a coltivare la nostra già ben radicata abitudine a giudicare tutto e tutti, noi stessi inclusi. La mindfulness è tutto il contrario. Ci propone una scelta radicale, coraggiosa, gentile e, per questo, potentemente trasformativa: lasciare andare le fantasie e i timori rispetto a chi dovremmo o potremmo essere, a come dovrebbero o potrebbero andare le cose, e iniziare a coltivare una relazione più autentica con noi stessi, intrisa di quella gentilezza, di quel sostegno, di quella pazienza, di quella sincerità, di quella capacità di perdonare e lasciare andare e di quella sempre rinnovata fiducia che solo il nostro migliore amico potrebbe darci.
Vuol dire iniziare a dire “Sì!”: alle parti di noi che ci piacciono, a quello che ci piacciono di meno o non ci piacciono affatto, alle cose così come sono che non sono mai esattamente come ce le aspettiamo e certo, anche al fatto che dire “Sì” a volte è difficilissimo e fa paura.
Solo dicendo “Sì” possiamo iniziare a vedere che, anche quando siamo in preda a mille pensieri, prima o poi ce ne accorgiamo e in quel momento siamo già, di nuovo, svegli. Solo dicendo “Sì” possiamo lasciare andare le nostre aspettative, giudizi e credenze più radicate. E scoprire, nel tempo, che siamo coraggiosi, che abbiamo molta più libertà di scelta di quanto avevamo immaginato e vivere, finalmente, con un po’ più di leggerezza.
Così, accompagnati da uno spirito di profonda amicizia nei confronti di noi stessi e con la vita che continua a sorprenderci, possiamo accettare che non sempre la mente troverà le spiegazioni che cerca, ma andremo avanti lo stesso perchè abbiamo già, in noi, tutto ciò che ci serve per farlo.
Buona pratica, Caro
Bell’articolo
Grazie Enzo!
Grazie. Sereno, vero, illuminante nella sua semplicità. Bello davvero, nel contenuto e nel tono. Grazie 🙂
Grazie Rossella! 🙂