Breve storia del mio rapporto con le pause
Per anni il mio rapporto con le pause è stato pessimo. Da bambina sognavo di fare la pianista di giorno, la ballerina di notte e la pediatra dopo i pasti per curare tutti quelli che avevano mangiato troppo gelato – avrei ricevuto molte richieste, era una certezza. Non paga, volevo vivere su uno yacht così da poter girare il mondo sentendomi cullata, mentre mi dedicavo a tutte queste belle attività.
La faccenda non è granché migliorata in adolescenza. Ricordo ancora la prima vacanza al mare con gli amici in cui, al primo sorgere del sole, mi svegliavo bella pimpante e tiravo su le tapparelle per tutti perché non vedevo l’ora di ricominciare a vivere. Equiparavo il dormire al morire e mi pareva un’incresciosa necessità dei vecchi, di cui in fondo si può fare a meno. Ora che ci penso, non so come abbiano fatto i miei compagni di vacanza a non pensare di uccidermi.
Quando, dopo la Laurea, mi sono trasferita a Londra, ricordo di avere imparato molto velocemente un’espressione che non ho più dimenticato: “burning the candle from both sides” (“bruciare la candela da entrambi i lati”). A quanto pare, quel modo di dire mi si adattava molto, e infatti lavoravo tantissimo, uscivo tantissimo, amavo altrettanto e facevo tutti i casini che si fanno quando si ha vent’anni – non che più tardi si diventi esenti.
La prima vera pausa che ho desiderato fortemente è stata la scelta di viaggiare con lo zaino in spalla, da sola, per un anno. In Asia. Avevo quasi 29 anni. Il viaggio è stato una successione di momenti di straordinaria intensità e bellezza, anche nella fatica, che non rimpiangerò mai. Se non fossi andata dall’altra parte del mondo, forse non sarei nemmeno tornata in Italia.
L’arte di imparare a fermarsi e come coltivarla
Prendersi una pausa è un modo per interrompere i modi abituali in cui la mente tende a interpretare le cose, schemi di pensiero – e di emozioni- che si ripetono, vita passata che si proietta sul presente e sul futuro senza che nemmeno ce ne rendiamo conto.
Prendersi una pausa è l’unico modo per fare spazio al nuovo. Per esperienza ho sempre visto che nulla può fiorire nella costrizione, nella ripetitività o nella forzatura. Nulla di autentico, quantomeno. Forziamo sentimenti diversi, pensieri diversi, comportamenti diversi, ma se non ci fermiamo a guardarci dentro, ricadiamo facilmente nelle stesse abitudini senza sapere perché.
Creare una pausa è possibile, senza per forza cambiare luogo – le abitudini, in fondo, sono la nostra ombra e il sole è ovunque.
Pratichiamo l’arte della pausa quando meditiamo, quando ci fermiamo a chiederci come stiamo realmente, quando concediamo alla mente di riposarsi, e al corpo di lasciare andare la tensione che così spesso portiamo inutilmente. E questo influisce non solo su come stiamo in compagnia di noi stessi, ma su tutte le nostre relazioni personali.
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