Da quando pratico mindfulness, ho spesso sentito l’invito a rallentare come se essere pienamente nelle nostre vite, starci con saggezza e compassione, fosse una questione di lentezza. Eppure, mi è capitato più volte di notare, sia in me stessa che negli altri, che si può essere molto lenti e piuttosto assenti, a volte così persi nelle proprie rimuginazioni da essere quasi in uno stato di trance, oppure molto veloci con un ritmo che non ha nulla dell’affanno, ma assomiglia piuttosto ad una danza, in cui la vita è come una musica e le cose accadono senza che ci si debba pensare. Fare l’amore potrebbe essere un esempio, così come essere pienamente immersi in ciò che ci appassiona, come può accadere quando facciamo sport, ci dedichiamo ad un lavoro manuale, o ci facciamo portare da un nuovo progetto senza preoccuparci dell’esito.
Ma possiamo fare l’amore anche quando puliamo il ripiano della cucina, portiamo fuori il cane e i bambini a scuola, siamo al lavoro e c’è una scadenza importante. Ovviamente il mio non è un invito a compiere atti osceni in luoghi pubblici, ma a riflettere su cosa è la felicità e come si coltiva. Per esempio negli anni, anche grazie alla meditazione, ho scoperto che la felicità non è uno stato permanente, qualcosa che raggiungi per sempre e non lo perdi mai più, ma piuttosto una delle tante emozioni che ci rendono umani. Mi sono accorta che la meditazione non è una fuga, un modo per evadere e sentirsi sempre rilassati, ma un allenamento a stare con la vita pienamente, superando l’idea che debba sempre tutto andare secondo i nostri piani o seguendo un mito prefabbricato.
Ho visto che con la meditazione la mente si calma e che questo è solo il primo beneficio della pratica, perché poi il cuore si apre e, anche se a volte può spaventarci, è molto interessante. E che possiamo prenderci meno sul serio e la meditazione fa bene non solo all’umore ma al sense of humour. Mi sono resa conto sbattendoci la testa che la compassione non presuppone controllo né tantomeno guardare qualcuno dall’alto verso il basso, ma anche quanto è importante non dimenticarsi mai di essere compassionevoli con noi stessi.
Ho scoperto, ritornando alla domanda iniziale sulla lentezza, che non è questo il punto ma il punto è l’affanno, l’accelerazione sempre verso la prossima cosa, una situazione migliore, una relazione migliore, un noi stessi migliore, che ci fa vivere come di corsa alla stazione, senza vedere i treni che passano. E che tornare con i piedi per terra – la meditazione è un grande allenamento a farlo – è l’unico modo per recuperare non la giusta distanza dalle cose, ma il giusto coinvolgimento. Quello che ci permette di toccarle con leggerezza, un po’ come in una danza.
Per ritornare alla domanda iniziale, anche se è vero che a volte rallentare è necessario e serve a veder meglio, non mi pare sia una questione di lentezza, ma di presenza.
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