“Odierò, se mi sarà possibile, altrimenti amerò mio malgrado”. Ovidio, già 2000 anni fa…
Nei giorni passati abbiamo parlato di come continuare a credere nell’amore, nonostante le batoste, e di come riconoscerlo. Abbiamo poi ragionato su come prenderci cura dell’amore, osservando che l’amore non si stabilizza mai e l’importanza della comunicazione e del considerare l’altro il nostro maestro.
Oggi, vorrei toccare un tema delicatissimo, che troppe volte viene trattato, in particolare sui social, in modo superficiale e seduttivo da persone piuttosto abili sul piano della comunicazione, ma poco attente alle sfumature della psiche umana: la dipendenza affettiva.
La diagnosi di dipendenza affettiva o love addiction non è ancora stata ufficializzata perchè non esiste all’interno della comunità clinica e accademica una concettualizzazione chiara e condivisa di cosa sia la dipendenza affettiva e serve ancora fare tanta ricerca in proposito. Resta che è evidente che ci sono persone che soffrono perchè hanno così tanto bisogno di stare in una relazione da trascurare le conseguenze negative che questa relazione può arrecare. Ed è altrettanto ovvio che questa sofferenza merita attenzione come tutte le altre.
Ecco, dunque, alcune riflessioni, senza la pretesa che siano esaustive nè, tantomeno, definitive.
Attaccamento e amore
Anche senza essere psicoterapeuti, non è raro osservare nella società attuale difficoltà nell’attaccamento. Si manifestano talora con la paura dell’intimità, talaltra con il timore così forte di essere abbandonati che si è disposti a plasmarsi sui bisogni dell’altro pur di non perderlo:
“Come faccio a sapere se sono una dipendente affettiva? Faccio abbastanza per la mia relazione?”
“Credo di essermi tanto accontentata poiché il motto era: ‘faccio tutto io, basta che mi vuoi bene’”.
“Vorrei che parlassi dell’amore irrazionale che si prova verso una persona palesemente tossica per te, quell’amore che rimane così forte dentro da diventare una sensazione pesante, dolorosa e bella allo stesso tempo. Non mi sono mai sentita così viva, anche se per poco…”
Diceva Bolwby, lo psiconalista britannico che ha ideato la teoria dell’attaccamento, che le nostre prime connessioni nell’infanzia possono influenzare il modo in cui ci approcciamo alle relazioni da adulti. In altre parole:
- Se chi si è preso cura di noi da bambini è stato capace di comprendere e soddisfare i nostri bisogni emotivi, impariamo piano piano a prenderci cura di noi stessi da soli e sviluppiamo la fiducia nella capacità di stabilire legami solidi, caratterizzati dal riconoscimento reciproco dei bisogni.
- Se, invece, qualcosa va storto, faremo fatica nella gestione delle emozioni e, nelle relazioni sentimentali, tenderemo all’evitamento dell’intimità – può accadere se i genitori sono particolarmente freddi e distanti- o all’ansia abbandonica, che può portarci a sminuire i nostri bisogni pur di tenere l’altro vicino. Spesso, in questi casi, i genitori hanno fatto fatica a sintonizzarsi in modo stabile con i bisogni del bambino, lasciandolo disorientato e preoccupato su cosa aspettarsi.
Dipendenza sana e patologica
Ognuno di noi merita di essere amato e considerato speciale agli occhi di chi ama, senza doversi costantemente plasmare sulle aspettative del partner. La differenza tra dipendenza sana e patologica emerge proprio quando, in una relazione sentimentale, questo assunto fondamentale viene messo in discussione:
- Chi è sufficientemente sicuro della propria capacità di prendersi cura di sé e di poter essere amato, una volta resosi conto della noncuranza o dell’ostilità del partner sceglie, piuttosto velocemente, di cambiare strada.
- Chi, invece, non ha questa fiducia, rimane impigliato in dinamiche conflittuali che possono anche avere un alto tasso erotico, ma sono distruttive sul piano psicologico. Resta anche quando lo spazio tra sè e il patner si riempie di ansia, svalutazione, rabbia, disperazione e, nel peggiore dei casi, violenza.
Sia chiaro, essere innamorati presuppone un certo grado di dipendenza. Il desiderio di condivisione e l’aspettativa di poter contare sul proprio partner non hanno nulla di patologico. Ma in una relazione sufficientemente sana i due partner sono interdipendenti. Che sia supporto, incoraggiamento o aiuto pratico, vi è tra loro una reciprocità nel dare e nel ricevere.
Chi soffre di dipendenza affettiva, invece, porta avanti la relazione anche quando riceve poco, sperando che un giorno le cose possano cambiare. E anche se spesso fatica a vederlo, il bisogno non è dell’altro, ma della relazione, costi quel che costi. È come se, da solo, si sentisse perso e affidasse all’altra persona un potere enorme: la facoltà di vivificarlo.
Il ruolo della psicoterapia e della mindfulness nella dipendenza affettiva
Per fortuna, il nostro stile di attaccamento può cambiare nel tempo. Esistono interventi in grado di invertire la rotta del destino, come la psicoterapia e la mindfulness. La mindfulness, in particolare, aiuta tantissimo chi soffre troppo per amore a scoprire la possibilità di stare bene in compagnia di sè stesso, che ci fa sentire finalmente completi.
Come scrivo in Semplicemente Single:
“Se desideri qualcuno che ti ami così come sei, apprezzi le tue fantastiche e innumerevoli qualità accogliendo, allo stesso tempo, anche le tue debolezze, ti dia il benvenuto, sia quando sei immenso e supersonico – e ti fai la ola per questo- sia quando – capita a tutti gli esseri umani- sei insopportabile, pesante, ansioso o proprio da raccogliere con il cucchiano… quella persona sei tu”.
Ti aspetto, se vuoi, per Parlami d’Amore, il gruppo terapeutico fondato sulla mindfulness, sul free-writing e sulla terapia cognitivo-comportamentale, le iscrizioni aprono martedì 24 gennaio alle 8.