Meditazione sul respiro a partire da 17’00”
Cos’è il Languishing
Qualche tempo fa un amico mi ha segnalato un articolo sul New York Times, scritto dallo psicologo Adam Grant, dal suggestivo titolo: “Feeling Blah during the Pandemic? It’s called Languishing”. Tradotto in italiano: “Ti senti un po’ a disagio durante la pandemia? Si chiama languishing”.
Una parola coniata dal sociologo Korey Keyes che l’ha usata per la prima volta nel 2002, il languishing è quella sensazione un po’ “Meh…” “Bah”, “Insomma” che forse senti anche tu da qualche mese ogni volta che ti chiedono come stai e che, te lo dico subito, potrebbe essere l’emozione dominante del 2021.
Un senso di stagnazione e di vuoto che non è nè depressione nè burnout, ma al quale dobbiamo comunque prestare attenzione perchè ci impedisce di funzionare al massimo delle nostre possibilità.
Languire è come vivere con il freno a mano tirato o, come dice Grant, guardare la vita attraverso un vetro appannato. Non solo ci impedisce di fiorire ma, nel lungo termine, può sfociare nella depressione.
Languishing: come prendercene cura
Se l’anno scorso, all’inizio della pandemia, abbiamo vissuto l’angoscia e la perdita -della normalità, delle certezze, dei nostri cari- quest’anno è altamente probabile che conosciamo qualcuno che vive languendo, o che quella persona siamo noi.
Il languishing è subdolo, perché quando ci spegniamo un po’, e ci abituiamo ad esserlo, rischiamo di non accorgercene più, dando quasi per scontato di vivere, giorno dopo giorno, in uno stato di mancanza di gioia e di scopi.
Riconoscere il languishing in noi e negli altri
Mi sono resa conto che stavo languendo l’altra sera, per contrasto. Sono uscita per accompagnare un’amica a casa, e sono rientrata che ero fuori di me dalla gioia per il solo fatto di aver sentito sorrisi e voci e chiacchiere di essere umani che vivevano, finalmente, un momomento di leggerezza condivisa. Improvvisamente ho capito perché, il giorno prima dell’ultimo lockdown, mi sono sentita come se qualcosa mi si stesse spegnendo dentro.
Riconoscere che proviamo languishing è il primo passo per prenderci cura di noi.
Condividerlo, invece che dire con il pilota automatico che va tutto bene è un modo per ricordarci che non siamo soli e uscire dalla positivà tossica, la terribile ossessione per il pensiero positivo che ci impedisce di accogliere le emozioni cosiddette negative facendoci sentire inadeguati quando abbiamo tutte le ragioni per provarle.
Come uscire dal languishing
Abbiamo bisogno di sfide per sentirci vivi. Ma non di quelle irrealistiche, snervanti, inaffrontabili, che ci fanno precipitare nel terrore di non farcela e verso un quasi certo senso di inadeguatezza. Ci servono sfide gestibili, stimolanti, che ci attraggano con la promessa di allargare i nostri gradi di libertà. Quale sfida potresti darti oggi? Che piccolo obiettivo potresti pensare di raggiungere, per poi congratularti di esserci arrivato?
Abbiamo bisogno di piacevolezza. Se i giorni si susseguono gli uni uguali agli altri, ci sentiamo un po’ morire dentro. Ci serve una sana dose d’improvvisazione, di passione, di sorpresa, di gioco. Conviene ricordarci che il tempo del lockdown è finito, che quello del coprifuoco sta per terminare, e agire di conseguenza. Auguriamoci che non debbano tornare più, e ringraziamo per i vaccini.
Ci serve, più di ogni altra cosa secondo Grant, coltivare stati di flow, in cui vivere per qualche momento pienamente assorbiti da ciò che stiamo facendo, felicemente dimentichi di tutto il resto. Ma il flow non può essere coltivato con le costanti interruzioni e con la distrazione che la fa da padrona. Per questo, anche per questo, ci serve meditare.
Buona pratica, Caro