L’arte di lasciar andare non è quello che pensi
“Scusa la domanda Caro, ma lasciare andare potrebbe essere interpretato da alcuni come un disinteressarsi delle cose… ora ammetto la mia ignoranza in materia e quindi ti chiedo apposta come interpreti il principio di lasciare andare” MM, l’altro giorno su Instagram
Ringraziamo tutti MM, che ha dato voce a un dubbio molto diffuso! E allora preciso, a scanso di equivoci, che lasciare andare non è fregarsene. Non è fingere che ciò che ci sta a cuore non sia importante, né vuol dire vivere con trascuratezza, senza cura per noi e per gli altri. Anzi, è esattamente il contrario, al punto tale che se mi chiedessi qual è la cosa più preziosa che ho imparato grazie alla mindfulness, ti risponderei senza esitazione che è proprio l’arte di lasciare andare.
Lasciar andare: cosa vuol dire davvero e l’importanza della meditazione
Come paziente di diverse psicoterapie – ne ho fatte quattro- ho sempre patito un po’ commenti come: “Dai Carolina, lascia andare” nei momenti in cui mi sentivo ingabbiata in un’emozione. Su un piano razionale, mi era chiarissimo che pensare a determinate situazioni non era saggio, non era utile, non mi faceva bene. Ma lasciar andare mi risultava impossibile. Non per mancanza di volontà, ma perchè, più semplicemente, non avevo la più pallida idea di come si facesse. Poi, sono arrivate la mindfulness e la meditazione, e tutto non solo si è chiarito, ma è diventato possibile.
Lasciare andare, infatti, consiste in una scelta molto semplice (ma non facile, per questo ci vuole allenamento): spostare l’attenzione da un oggetto a un altro. Da fuori a dentro, dalla testa al corpo, dal pensiero al respiro. L’allenamento per fare in modo che questa scelta non resti solo una bella teoria, ma diventi una possibilità reale, è la meditazione.
Come funziona la meditazione: ritornare al presente per ritrovare la nostra parte più autentica
Cosa accade quando meditiamo? Ci impegniamo al meglio delle nostre possibilità a seguire un’istruzione molto semplice: portiamo l’attenzione su un oggetto piuttosto neutro -può essere il respiro, ma anche un suono, o qualcosa che sentiamo nel corpo o che vediamo- e quando ci accorgiamo che l’attenzione si è spostata, la riportiamo sul nostro oggetto neutro. Ripetiamo l’istruzione più e più volte con pazienza, ricominciando da capo quando ci accorgiamo che stiamo pensando ad altro.
Attraverso questa scelta paziente e gentile di riportare più e più volte l’attenzione su un oggetto un po’ noioso – l’atto interiore di lasciare andare è strettamente legato al ritornare, al fare ritorno a noi stessi e al presente – iniziamo a notare che siamo solitamente molto presi dai nostri pensieri, impulsi ed emozioni, e molto distratti dalle cose che troviamo minacciose, dolorose o eccitanti. Di per sé questa situazione non è particolarmente rincuorante, tant’è che alcuni, presi dall’impazienza e dallo sconforto, si scoraggiano e decidono che, in mancanza di benefici immediati (mi spiace ragazzi, ma la “fast meditation” non esiste) questa strada non fa per loro.
Ma per chi persevera con un po’ di curiosità e coraggio, arriva a un certo punto una scoperta meravigliosa. Iniziamo ad accorgerci che questo lavoro, che all’inizio poteva apparirci persino insensato in alcuni momenti, da solo trasforma la nostra esperienza: ci accorgiamo che siamo un po’ meno identificati con i pensieri, le emozioni e gli impulsi che prima avevano la meglio su di noi, e viviamo molto di più nel corpo. Come dopo uno svenimento, o una lunga trance -a volte è così che trascorriamo parte della nostra vita- riprendiamo finalmente i sensi e ritroviamo la parte di noi che non rimugina ma sente, che non pensa ma sa, che non dubita e vive, fiduciosa nel fatto che non ci manca nulla in questo momento né per essere felici, né per affrontare le difficoltà e imparare lungo il percorso.