Per tanto tempo nella mia vita, prima che iniziassi a praticare mindfulness, ho pensato che c’era qualcosa che non andava con me. Vorrei essere chiara con voi su questo punto: non avevo il dubbio che ci fosse qualcosa che non andasse con me… ne ero assolutamente convinta! Non che questa idea mi accompagnasse in modo insistente nell’arco delle mie giornate, ma ogni tanto emergeva in un modo davvero dirompente, insieme al pensiero, solido e pesantissimo e talora davvero lancinante, di essere condannata ad una sofferenza da cui mai e poi mai avrei trovato il modo di sottrarmi. Tipicamente, questo accadeva nei momenti in cui la vita, magari in ripetute occasioni, non andava come desideravo.
Non so se ci avete fatto caso, ma quando le cose non vanno come vorremmo, ci sentiamo insicuri. E l’insicurezza disegna un panorama che ci fa molta paura, precipitandoci sull’orlo di una zona da cui tutti vorremmo fuggire a gambe levate.
Come scappiamo dall’insicurezza? Tipicamente, ancor prima di dire o fare qualsiasi cosa, il corpo si contrae e ci chiediamo perché sta succedendo quello che sta succedendo. Ma spesso ce lo chiediamo in un modo un po’ particolare, che più che essere intriso di curiosità, tende ad essere dominato da paure e accuse, in un turbinio di pensieri in cui puntiamo il dito alternativamente su noi stessi, sugli altri, sul mondo. E’ come se fossimo impegnati in un finto processo in cui, di fatto, abbiamo già stabilito il colpevole e vogliamo solo ripetere ossessivamente le nostre ragioni.
Nel tempo, attraverso la pratica, ho imparato a vedere che, sia quando ci irritiamo con le persone e con le cose che sono fuori di noi, sia quando ce la prendiamo con noi stessi – talvolta massacrandoci in un modo che nemmeno con la persona più difficile della nostra vita saremmo così inclementi- di fatto non stiamo facendo altro che alimentare il nostro sentimento di inadeguatezza.
Intendo, per sentimento di inadeguatezza, la convinzione che inconsapevolmente coltiviamo di non potere stare con la vita così come fluisce momento per momento, in particolare quando ciò che si presenta non ci piace.
Da una parte, crediamo di non essere sufficientemente equipaggiati per attraversare le intemperie, e che quindi la vita debba proteggerci da sé stessa mostrandoci solo il suo lato morbido, dolce e rassicurante. Dall’altra, dimenticandoci che siamo meravigliosamente umani, ci convinciamo che c’è qualcosa che non va con noi se, nei momenti di tempesta, ci sentiamo tristi, arrabbiati, risentiti, spaventati, respinti, preoccupati, disperati, soli e… metteteci voi tutte le condizioni emotive che, lo sapete in base alla vostra esperienza, vi fanno sentire come se foste affacciati su un baratro.
Eppure, nel momento in cui iniziamo a fermarci e sostenuti dalla pratica portiamo l’attenzione a quello che c’è davvero, senza affannarci a correggere un bel niente, scopriamo che le cose sono un po’ diverse da come apparivano nei nostri drammi mentali.
C’è che la vita è in continuo movimento, e questo non è necessariamente un affronto personale anche se ci fa sentire vulnerabili. C’è che ci sono delle cose che apprezziamo di noi stessi, e altre che non ci piacciono o che ci fanno paura. C’è che cadiamo più volte di quante non vorremmo, ma anche che possiamo diventare bravissimi ad alzarci. C’è che possiamo arrabbiarci per il fatto che le cose non vanno come ci auspichiamo e che non siamo sempre l’incarnazione del nostro ideale di perfezione, o possiamo scegliere di prendere atto che le nostre contraddizioni e i nostri paradossi non sono qualcosa da evitare o in cui indulgere, ma qualcosa di interessante da guardare sia in noi stessi che negli altri. C’è che, anche se la vita è un’avventura che non può essere spiegata sino in fondo, andremo avanti lo stesso.
Oggi avevo, semplicemente, voglia di ricordarlo.
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