“Non credo che la sofferenza da sola insegni. Se bastasse la sofferenza ad insegnare, tutto il mondo sarebbe saggio, visto che tutti soffrono. Alla sofferenza bisogna aggiungere l’elaborazione, la comprensione, l’amore, l’apertura e il desiderio di rimanere vulnerabili.” ~ Anne Morrow Lindbergh
Non so a voi, ma a me essere vulnerabile fa davvero paura.
Mi fa sentire esposta, nuda, affacciata sull’orlo di un baratro: senza protezioni e senza controllo. In un attimo posso diventare facile preda della confusione, dell’ansia, della disperazione, del panico, dell’angoscia e di tutte quelle emozioni con cui nessuno di noi ha voglia di stare e che ti fanno sentire come se un branco di lupi potesse venirti a sbranare da un momento all’altro.
Eppure vivere significa essere provocati.
Certo potremmo anche scegliere di indurirci, e di credere che possiamo attraversare la vita senza lasciarci toccare da nulla, alcuni lo fanno. Ma se vogliamo davvero entrare nella nostra vita ed essere in una relazione autentica con noi stessi e con tutto ciò che ci circonda, state pur certi che prima o poi verremo provocati.
E allora cosa fare quando la vita ci fa vedere l’inaspettato, il brutto, l’oscuro, il deforme, lo spaventoso, il folle, cioè esattamente ciò che abbiamo bisogno di vedere?
Proverò a dirvi quello che ho capito praticando mindfulness sull’orlo del baratro. A volte sono stata svelta, altre volte ci ho messo un po’. Su alcuni punti ho ancora molta strada da fare, ma so dove sono.
Siamo umani
Quando emergono certi sentimenti, e ci sentiamo la terra mancare sotto ai piedi, non siamo falliti. Siamo umani, e in quanto tali la nostra condizione ha diverse sfumature. Pensare che essere equilibrati significhi provare solo gioia e beatitudine, o credere che l’illuminazione sia una questione di raggiungere l’estasi o di mantenere un comportamento ideale, ci condanna ad inseguire un modello di perfezione che non solo non esiste, ma che ci fa aggrappare alle nostre ferite come naufraghi ad un ago in mezzo al mare.
La vera tragedia
La vera tragedia non è soffrire. La vera tragedia è che quando ci rifiutiamo di riconoscere e rispettare la nostra sofferenza tradiamo noi stessi. Continuare ad evitare, a resistere, a ribellarci, a plasmarci su quelle che immaginiamo essere le aspettative degli altri non fa bene a noi e non fa bene a chi ci circonda. L’unico modo per non cadere nel baratro è smettere di combattere ciò che abbiamo di fronte, rilassarci con la nostra vulnerabilità, e aprirci.
Sentirsi vulnerabili
Sentirsi vulnerabili è un’ottima occasione per coltivare la gentilezza incondizionata sia verso la nostra perfezione e tutte le cose che ci piacciono di noi, sia verso la nostra imperfezione e tutte le cose che non ci piacciono o che ci fanno paura. Possiamo finalmente osservare le condizioni che determinano la nostra felicità e la nostra infelicità, conoscerle a fondo, e allenarci a non reagire automaticamente quando queste condizioni si presentano. E possiamo farlo solo rimanendo teneri con noi stessi.
Aprirsi
Aprirsi è un invito a lasciare andare tutto ciò che davamo per scontato e i nostri ideali di perfezione per ritornare innocenti, umili, e più facilmente raggiungibili. Possiamo sperimentare, esplorare, ricevere degli insegnamenti, riflettere e, se siamo abbastanza fortunati, lasciare andare idee e preconcetti per rinnovarci e vivere ogni momento con freschezza.
La sofferenza è inevitabile, ma non per questo deve diventare la nostra prigione
Avete presente Anthem, la canzone di Leonard Cohen?
“Suona le campane che ancora possono suonare
scordati la tua offerta impeccabile
c’è una crepa, una crepa in ogni cosa
è così che entra la luce”
E’ un miracolo.
E’ un miracolo che noi si possa portare l’attenzione al nostro mondo interiore, investigare la realtà dei nostri sentimenti, vedere le paure e i bisogni che ci spingono, lasciare andare alcune idee distorte su noi e sul mondo, e scoprire la libertà che c’è in questo.
Ed è un miracolo che noi lo si possa fare in ogni momento.
E voi, dove vi chiudete?
E dove lasciate che la luce entri?
Come sempre fantastica…
Grazie Daniele! 😀
Tempismo perfetto del tuo raggio di sole. Grazie!
Ciao Carolina,
il tuo blog è davvero molto toccante: è un piacere leggerlo, riesci a parlare all’anima in modo semplice e diretto, permettendo a chi legge di lasciarsi andare così come si è ed essere migliore…semplicemente una brezza di aria fresca!!!
Grazie per questa meravigliosa condivisione!
Attraversare la sofferenza. Già. C’è un libro, appena scritto sul tema del lutto e della perdita. Uno scritto in ambito educativo, se ti interessa. Il dolore che trasforma, di Mario Mapelli, Franco Angeli ed.
Grazie, Carolina, di questa tua sensibilità condivisa…proprio vero che bisogna saper essere “teneri con se stessi” nel vedere/accettare quel che è con rispetto e lucidità, districarsi tra automatismi e rifiuti. Bello – attraverso te – sentirsi anche “in comunità” nel farlo….
è un messaggio che arriva, molto bello , tocca le corde giuste, il coraggio di spingergi oltre per raggiungere non la felicità ma la serenità e lottare per essa e per se stessi
merAVIGLIOSO ARTICOLO….MA SOPPRATTUTTO VERO….
meno male che ci sono le tue confessioni a fine giornata…leggerle mi fa ridimensionare tutto ciò che ho esasperato nelle ore precedenti…grazie.
Grazie. Ne avevo bisogno.
un raggio di luce in una giornata uggiosa….grazie!