L’edizione di ottobre del Mindfulness Research Monthly (MRM) segnala 37 nuove pubblicazioni nell’ambito della ricerca sulla mindfulness.
Ma prima di continuare, voglio farvi una domanda: avete mai sofferto di depressione o avete mai incontrato nella vostra vita qualcuno che ne soffre?
Se la risposta è affermativa, non siete soli: in Italia la depressione colpisce una persona su dieci e, secondo il più recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2020 la depressione rischia di diventare la malattia mentale più diffusa al mondo e in generale la seconda malattia più diffusa dopo le patologie cardiovascolari. La maggior parte dei pazienti depressi hanno almeno una ricaduta e almeno un terzo soffre di sintomi residui che non si risolvono nonostante l’uso di farmaci antidepressivi.
Fra gli addetti ai lavori è nota la ricerca sulla Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT) che ha dimostrato che questo intervento riduce significativamente il rischio di ricaduta in persone con una storia di tre o più episodi depressivi. Che certo è un’informazione preziosa, ma cosa dire dell’efficacia dell’MBCT per chi ha una storia di un solo episodio depressivo? E dell’efficacia di altri interventi mindfulness-based sui sintomi depressivi?
Due nuovi studi sfidano queste limitazioni, suggerendo che i trattamenti basati sulla mindfulness possono ridurre con successo sia la depressione attiva, sia i sintomi residui, indipendentemente dalla storia di depressione di una persona.
Geschwind et al. (British Journal of Psychiatry) hanno studiato un gruppo di pazienti affetti da sintomi residui successivi alla diagnosi di episodio depressivo. L’MBCT ha ridotto i sintomi del 30-35%, un miglioramento che si è mantenuto a 6 mesi e ad un anno di follow-up, indipendentemente dal numero di episodi depressivi precedenti. In altre parole, i pazienti con una storia di uno o due episodi sono migliorati tanto quanto quelli con una storia di tre o più episodi, e visti i risultati non si può che essere d’accordo con gli autori quando concludono che la pratica di restringere gli interventi MBCT a pazienti con tre o più episodi depressivi ha bisogno di essere “rivista con urgenza”.
McCarney et al. (European Journal of Psychotherapy & Counselling) hanno svolto una meta-analisi degli effetti degli interventi mindfulness-based sui sintomi depressivi, misurati attraverso il Beck Depression Inventory (BDI). La meta-analisi includeva undici studi di protocolli mindfulness-based come l’MBSR e l’MBCT, applicati a pazienti trattati per depressione, ansia, ADHD o disturbi alimentari. I vari programmi mindfulness-based hanno ridotto i punteggi BDI dal 25 al 59% rispetto ai valori pre-trattamento. Si tratta di risultati che sostengono l’uso degli interventi mindfulness-based per trattare i sintomi della depressione in atto, e non solo per prevenirne le ricadute.
A questo punto qualcuno di voi starà forse pensando che sarebbe ancora meglio potere prevenire i sintomi della depressione prima che si sviluppino. Bergomi et al. (Cognitive Behaviour Therapy) hanno studiato come la mindfulness e le esperienze stressanti (perdite, fallimenti, umiliazioni) interagiscono fra di loro per influenzare l’umore e la presenza di sintomi clinicamente significativi. I risultati indicano che livelli più alti di mindfulness agiscono come fattore protettivo riducendo gli effetti delle esperienze stressanti sia sull’umore negativo sia sulla severità dei sintomi. Lo studio non spiega come la mindfulness possa avere questi effetti, e il modo in cui è stato progettato limita le conclusioni che se ne possono trarre, ma suggerisce un possibile ruolo di un training di mindfulness nella prevenzione primaria: fermare le malattie prima che si manifestino.
Che prevenire sia meglio che curare non è certo un pensiero innovativo, anche se a volte il buon senso fatica a diventare comune.
Andare in questa direzione è fra le intenzioni di Semplicemente Mindfulness ~ Progetto Anstistress. Quindi, se siete arrivati qui, grazie per il vostro sostegno.